martedì 27 dicembre 2016

Coro Alexandrov addio

... bisogna attendere, ma forse non avremo mai certezza della causa che ha procurato il disastro aereo di Sochi, nel Mar Nero russo.  Il Tupolev Tu-154, aereo del Ministero della Difesa inabissatosi ad una manciata di minuti dal decollo, dopo non esser riuscito a guadagnare altezza, ha portato con sé il Coro Alexandrov, fiore all'occhiello della musica corale mondiale. Perdita che i media occidentali avrebbero dovuto sottolineare e sottolineare e ancora sottolineare, ma non l'hanno fatto. Non abbastanza.
Errore umano, guasto tecnico, sabotaggio, atto terroristico, resteranno forse interrogativi in noi. Pur ipotizzando fosse stata la terza e/o quarta ipotesi, ad ora quasi scartate dagli 007 russi, a procurare la tragedia, non sarebbe opportuno fosse rivelata, mille i motivi: politici, strategici. Non sarebbe opportuno in questi giorni già così pregni di accuse occidentali all'operato militare russo in Siria, accuse ingiuste e menzognere che stanno portando il popolo russo a sopportare iniquamente il peso di queste infami guerre, di certo non volute dal loro paese. Ma non è di questo che occiriente vuol parlare, non ora, quel che vuole è ricordare la grande perdita subita dalla Russia e dalla Musica mondiale. Il 25  dicembre dell'anno 2016 resterà segnato nelle storia della Russia e della Musica da una coccarda nera, sarà il Natale dell'addio al coro Alexandrov, il Coro dell'Armata Rossa prima, Russa poi. 
Ed è sulle note dell'inno nazionale russo cantato dal Coro Alexandrov e le note del "Requiem" di Mozart, reperibili nei link segnalati in calce, che occiriente si inchina al dolore della Russia, della sua anima, perché è ciò che questo disastro ha colpito: l'anima della Russia. E questo ammanta di maggiore tristezza. E fa più male.




domenica 25 dicembre 2016

un pensiero di serenità




... ma l'Angelo disse loro: " Non temete, ecco vi porto una buona novella.." poi subito si unì all'Angelo una moltitudine della milizia celeste...
Luca- 2,24

...Nessuno ha mai visto il Tuo volto, ma mille persone Ti guardano... Dove si compiono i riti del chiostro, risuona la campana del monacale cenobio e il nome della Croce..."
āfe-e Shīrāzī
(Canzoniere- Lo Spazio e il Tempo- gazél LXIII )





Un pensiero di serenità.

giovedì 8 dicembre 2016

bambini in volo sulle note di Takhur

... ancora bambini, venti, forse più, lasciano la terra alle soglie di questo Natale del 2016. Ancora raid aerei, ancora la coalizione a guida statunitense, ancora un mercato affollato, ancora civili, ancora innocenti, ancora nostra la responsabilità. La colpa. Perché di questo si tratta. L'Italia deve dire basta. Il deve va sottolineato. Deve uscire dal circuito delle responsabilità belliche. Perché di questo si tratta. Ma ora, dedichiamo la pagina ai bambini volati in altro mondo a trasformarsi in stelle, lasciamo alla seguente l'ennesima analisi sulla complicità bellica italiana a dispetto di Sovranità e Costituzione, torniamo al pensiero dei bambini, questa volta di Al-Qaim, Iraq, confini con la Siria e accompagniamo il loro luminoso volo innocente con le note poetiche di Rabindranath Takhur, in occidente Tagore, che abbiamo tradotto per voi.

 " Nessuno sa da dove viene il sonno
che aleggia sugli occhi dei bambini?
Sì. Si dice che abiti laggiù,
in un villaggio incantato, dove,
tra le ombre di una fitta foresta, 
fiocamente illuminata dalle lucciole, 
due timidi splendidi fiori pendono.
Ecco da dove viene il sonno 
a baciare il sonno dei bambini.

Nessuno sa dove nacque il sorriso
che fluttua sulle labbra dei bambini addormentati?
Sì. Si dice che un pallido giovane 
raggio di luna crescente,
abbia accarezzato il lembo 
d'una nuvola autunnale e leggera,
così, nel sogno d'un mattino umido di rugiada,
per la prima volta nacque il sorriso
che fluttua sulle labbra dei bambini addormentati.

Nessuno sa dove a lungo si nascose
la dolce e tenera freschezza
che fiorisce dalle membra dei bambini?
Sì. La portava nel cuore silente, 
colmo del delicato mistero d'amore,
la madre ancora giovinetta.
Lì sbocciò la dolce e tenera freschezza 
che fiorisce sulle membra dei bambini".

Marika Guerrini


mercoledì 16 novembre 2016

AMERICA tra volto manifesto e concetto di FELICITA'

… basta uno sguardo per cogliere il ruolo che gioca l’America nel contesto planetario, un solo sguardo  per cogliere il fine proprio a quella terra: fondare una Civiltà destinata a culminare nella meccanizzazione della società, ivi compresi gli stessi uomini, destinati, gioco forza, a trasformarsi in omuncoli privi di coscienza individuale. Accanto a questo una società destinata alla realizzazione della “felicità”, o meglio, alla fabbrica della “felicità”, in linea con quel tipo di pensiero che escogita ordinamenti economici sì da tendere alla “felicità” quale appagamento del mondo dei sensi, appagamento dell’istinto. E poiché la vita degli uomini “deve” essere felice, la realizzazione della felicità diventa un ideale. Il sogno americano.
Ma affinché così sia, dovremmo dire appaia, bisogna fare degli accostamenti, all'uopo sono stati creati dei connubi, si ha quindi felicità-bontà e felicità-virtù, a cui si è aggiunto, per assimilazione, felicità-verità. In tal modo questa Civiltà basata esclusivamente sulla materia, viene nobilitata al mondo dei sensi proprio dai connubi di cui sopra. Il passo è breve perché la risultante di questa Civiltà così ottenuta si appropri del termine Democrazia, ne faccia il proprio vessillo e lo sventoli accompagnato dal concetto di libertà, di uguaglianza, di fratellanza, in realtà, all’atto pratico, uccidendo fratellanza e uguaglianza col negare la libertà altrui, facendo così crollare i connubi felicità-bontà e felicità-virtù, ma soprattutto, felicità-verità. Facendo così crollare la parvenza.
E’ quel che è accaduto in questi giorni sul pianeta Terra con l’elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump e la sconfitta di Hillary Clinton: è crollata la parvenza, la qual cosa è grandemente positiva. A questo punto, pur ammettendo che qualcuno non l’avesse ancora visto, o non avesse voluto vederlo o l’avesse negato a se stesso, ora, quel qualcuno può, anzi deve, scorgere il volto dell’America, il vero volto dell’America. Il volto tenuto celato all’ombra dei buonismi, delle libertà conclamate, delle uguaglianze, all’ombra della pace, della liberazione da portare a popoli “oppressi” da regimi dittatoriali, eccetera eccetera, in altri termini il volto celato dietro la Democrazia circoscritta nei confini dello stesso paese e da esportare oltre confine.
Per ironia della sorte a svelare questo volto sono stati proprio coloro che “democraticamente” si sono ribellati e si ribellano, si sono rivoltati e si rivoltano, in parte manovrati in parte no ma fa lo stesso, contro un presidente legittimo, eletto dal popolo nell’esercizio democratico della propria sovranità, attraverso le urne in legittime elezioni. Così i democratici americani, sbandierando abusivamente la Democrazia, per il solo fatto di sbandierarla in tale occasione, hanno dichiarato al mondo di non rispettarla, non conoscerla, non possederla. Parvenza, parvenza e ancora parvenza. E tutto il democratico politically correct nella sua britannica accezione, è andato a farsi benedire, rinnegato anche da chi fino a qualche ora prima imputava alla parte avversa la mancata osservanza del concetto.
Sì, l’America ha mostrato il proprio volto, l’ha fatto ora, mentre tamburi di guerra da essa innescata continuano a tuonare sul Vicino Oriente, sul Medio, a falciare vittime innocenti anche nei mari e lungo i deserti. Mentre in Afghanistan i Taliban, già, come sappiamo, mujaheddin in difesa della patria, attaccano il consolato tedesco rappresentante la Coalizione a Mazar-i-Sharif, attaccano la Base Nato di Bagram, la grande Base, luogo di torture soprusi e blasfemie ai danni del popolo afghano, e suicidi continuano a farsi saltare per liberare il paese dal volto dell'America. Questa la verità.
L’America mostra il proprio volto mentre nel vecchio continente l’Ungheria contrasta l’Unione e la Gran Bretagna è in uscita. Mentre i nostri confini orientali, e non solo, sono disseminati di armi atomiche Nato puntate in attacco a provocare guerra anche qui, mentre oltre 5000 soldati, protetti sempre dallo stesso volto, si preparano ad entrare tra i nostri confini allo scoccare del 2017 e soldati italiani, contro ogni Costituzione, si preparano ad accodarsi. L'America  mostra il volto mentre con accordi economici, vedi Ttip, si vorrebbe assoggettare gli Stati europei a diritti fatti su misura per multinazionali beneficianti quest’America che ha mostrato il volto. Per grazia ricevuta.  
E' fuoriuscito da una lotta fra draghi questo volto, da un bestiale diabolico scontro fra draghi. E non è finito, no, i draghi non si arrendono alla sconfitta né si adagiano sulla vittoria. Mai. Potenti entrambi, pericolosi entrambi, inaffidabili entrambi. Se pur chi ha vinto, forse, molto forse, potrebbe agire a favore di qualcosa che ci sta a cuore, sempre per quel pensiero della materia, sì, certo, e del sogno americano, sì, certo, ma che, in tale frangente storico, potrebbe favorire all'orizzonte un bagliore.

Eppure molte note ironiche hanno suonato in questa lotta fra draghi, tra gli spazi, tra un’unghiata e l’altra, una continua a suonare tra coloro che tifavano, e continuano, per la perfidia della Clinton ritenendo di farlo per la Democrazia, è la nota della parola Taikun con cui costoro si riferiscono a Donald Trump, ignorando, per via della britannica trascrizione in forma fonetica che riporta quindi tycoon, la semantica del termine, il significato. 
Taikun, 大君,  che tra l’altro si trascrive rigorosamente con lettera maiuscola, non vuol dire soltanto magnate, come i britannici nella loro mania di trasformazione delle lingue a proprio uso e arroganza hanno riportato, bensì uomo nobile, principe, uomo degno di rispetto, come fosse un accrescitivo del comandante in capo, lo Shōgun. Ma si ritorna all’inizio di questa pagina, il pensiero anglo-americano è pensiero di materia, per cui tycoon è magnate industriale, così coloro che attaccano il Taikun Trump in realtà, senza saperlo, stanno facendo riverenza.
Chiudiamo così questa pagina, su questo aneddoto e due interrogativi: sarà la consapevolezza del volto manifesto dell’America a salvare l’Europa? L'Europa diversificherà il concetto di felicità da quello del volto manifesto che non appartiene alle proprie origini? Si spera!
Marika Guerrini

domenica 6 novembre 2016

L’occidente e la leggenda di Kirttimukha


... oggi racconterò una leggenda, non è la prima volta e non sarà l’ultima, una leggenda avulsa da tutto quel che accade, apparentemente avulsa. Avrei potuto trattare d’altro se l’ispirazione fosse giunta a fare la scelta. Avrei potuto raccontare quel che accade in questi giorni e ho atteso che la scelta si facesse avanti, che qualcosa, qualcuno, un nonnulla,  suggerisse l’argomento, uno dei tanti. Non è stato così. La scelta non è venuta e sono rimasta a guardare, come tutti, il rotolare nel fango delle elezioni presidenziali americane, il fragore delle armi ad Aleppo, l’ennesima tragedia afghana manu militari Usa, i migranti affogare nel Mediterraneo con la loro speranza, i curdi usati e perseguitati, la deriva turca, Mosul. A guardare il teatrino italiano del sì e del no, la danza della Gran Bretagna: Europa sì Europa no.
A guardare la guerra degli hacker rimbalzare dagli Usa alla Russia dalla Russia agli Usa,   a guardare la follia delle americane minacce alla Russia, quella follia d'una terra che non s’avvede d’aver perso la supremazia, o forse sì e minaccia per questo. Avrei potuto raccontare che ovunque si volga lo sguardo, in questi giorni e da troppo, altro non si vede che la vita consumare se stessa, bruciare se stessa, divorare se stessa. Altro non si vede che quest’occidente divorare se stesso. Così, oggi, racconterò una leggenda, un’antica leggenda. E’ all’occidente che la dedicherò rubandola all’oriente, all’India, alla mitologia del dio Shiva e di Parvati, la sua dea terrestre.
Accadde, un tempo, che dinanzi alla divinità si presentasse un demone. Un terrifico demone. Il demone aveva appena sconfitto gli dei che dominavano la Terra ed ora veniva ad affrontare il dio supremo con una richiesta impossibile da soddisfare: il demone chiedeva che Shiva gli cedesse Parvati. In risposta alla richiesta Shiva altro non fece che aprire il suo terzo occhio, quello posto al centro della fronte. Improvviso un fulmine colpì la Terra e un altro demone, ancor più terrifico, apparve accanto al primo. Era una creatura famelica la cui coda nervosamente si muoveva verso i quattro punti cardinali e la testa di leone mostrava la sua natura divoratrice. Alla sua vista il primo demone, terrorizzato:-Cosa posso mai fare?-, pensò, e supplicò la misericordia di Shiva.
Bisogna sapere che quando ci si affida alla misericordia di un dio, questi non può rifiutare la protezione, così Shiva dovette difendere il primo demone dal secondo. A questo punto il demone dalla testa di leone rimase senza carne da divorare e, non sapendo come soddisfare la famelicità che lo tormentava, si rivolse a Shiva: -Chi dunque mangerò?-, gli chiese. E Shiva: -Perché non divori te stesso?- rispose.
Shiva non aveva neppure terminato di formulare il suggerimento che il demone famelico, coi denti che furiosi laceravano la carne, prese dai piedi a divorare se stesso. Mostruoso salì, salì, salì lungo tutto il corpo finché ebbe divorato tutto, finché giunse alla faccia, lì si fermò.
Incantato rimase il dio Shiva a questo spettacolo: -Ecco, pensò, sono di fronte alla vita che vive di se stessa, per questo divora se stessa.- Fu allora che a quella maschera leonina che era tutto ciò che restava della famelicità, a quella maschera simile al sole, disse: _Ti chiamerò Kirttimukha, tu risplenderai sulle porte di tutti i miei templi. Chiunque rifiuti di onorarti e di adorarti, non potrà mai giungere a conoscermi.- 
 Kirttimukha vuol dire “ Faccia di Gloria”, ed è per questo che il simbolo del leone-sole è sui templi dedicati al dio Shiva la cui sposa, Parvati, è la dea della vita.
Quel che la leggenda ci dice è che il primo passo verso la Conoscenza, che sempre porta con sé il mistero della vita, sta nel riconoscere l’essenza mostruosa e al contempo gloriosa della vita stessa. Imparare a vivere nel dolore gioioso e nella gioia dolorosa della conoscenza della vita quale essa è, altrimenti, vivere solo di vita, vuol dire divorarla. Questo il significato di Kirttimukha che, tra mostruosità e gloria, tenebra e luce, ci insegna il modo di vivere la vita nella sua essenza più profonda. Ma non si potrà mai giungere alla sua conoscenza, alla conoscenza  di Shiva e di Parvati se non si sia capaci di inchinarsi dinanzi a quella maschera e oltrepassare la soglia del “tempio” con umiltà.
Marika Guerrini

mercoledì 26 ottobre 2016

Quetta terrore nella notte

... Quetta, Baluchistan, ora locale: 24 circa, in Italia 21, notte tra il 24 e il 25 c.m., un giorno fa. Al “Police Training College“, Accademia di Polizia a 20 kilometri dalla città, i cadetti dormono. Tre attentatori con giubbotti esplosivi irrompono nelle camerate, all’impazzata scaricano i kalashnikov. L’immediato intervento delle forze di sicurezza pakistane, armate di mitragliatori e bombe a mano, non riuscirà ad evitare il peggio. Lo scontro a fuoco durerà quattro ore. Il numero delle vittime sarà di 61 morti e 160 feriti tra cui molti tuttora in pericolo di vita. La maggior parte saranno cadetti, i tre attentatori saranno vittime anch’essi, due suicidi, il terzo ucciso dalla polizia.
A comunicare il fatto è l’Aamaq, agenzia vicina al Daesh che rivendica l’azione. Anche lo scorso mese di agosto, miliziani del Daesh hanno attentato a Quetta, “assassinio di avvocati”, provocando più di 80 morti. Eppure questa volta qualcosa ci sfugge. Conoscendo più che bene la situazione laggiù, avvertiamo una strana sensazione, come di notizia incompleta o inesatta. Riflettiamo insieme.
Per agire a questi livelli a Quetta, quindi nel martoriato Baluchistan quindi in Pakistan, bisogna supporre un aggancio tra Daesh e Lashkar-e-Jhangvi o suoi affiliati,  oppure tra Daesh e Tehreek-e-Taliban, gruppi terroristici che spesso abbiamo incontrato nelle nostre pagine quali autori di attentati e stragi quasi sempre perpetrati nei confronti dell’etnia sciita Hazara che, proprio nella capitale del Baluchistan, è presente con una città nella città. I Tehreek-e-Taliban poi, sono coloro che nel 2014, dicembre, attaccarono la Scuola Pubblica Militare di Peshawar provocando 80 morti di età tra i 10 e i 18 anni.
Sta di fatto che gli attentatori, miliziani del Daesh, si dice, per via di alcune telefonate, siano giunti dall’Afghanistan, il che sarebbe anche ovvio, ma sappiamo che cellule del Daesh in Afghanistan sono nella regione del Kyber Pass, zona di Nangarhar, distretto di Haska Mina, dove i miliziani si addestrano, nord-est per l’Afghanistan, sud-ovest per il Pakistan, sulla Linea Durand, confine che corre in perpendicolare combaciando i due paesi. Non dimentichiamo anche che a pochi kilometri da Quetta, oltre il confine che dalla città si vede quasi ad occhio nudo, ovvero in Afghanistan, vi è Kandahar, da sempre, quasi, base Nato. E sappiamo che, tranne alcuni elementi quali Abdul  Khaliq, Bajahur Hafiz Saeed Khan, il portavoce di  Saeed Khan di cui ci sfugge il nome ed altri quattro o cinque elementi usciti dalle fila dei Taliban per aderire al Daesh, questi gruppi combattono la presenza del Khilafat, Califfato di Al Baghdadi, nella regione, in cui, con il beneplacito Nato, è penetrato.
 Quel che si dice anche e non da ora, è che obiettivo del Califfato sia la nascita di un Emirato Islamico del Khorasan, dal nome dell’antica provincia estremo orientale dell’impero persiano, che oggi corre dal subcontinente indiano al nord-est dell’Iran, attraverso Afghanistan, Pakistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tajikistan.
Pensando a quelle terre e alle loro genti nonché alle grandi messe in scena del Califfato poniamo anche a questo un grosso punto interrogativo, troppo lungo da spiegare.
Da dove sono giunti gli attentatori del College di Quetta? A cosa, a chi erano collegati? La motivazione sunniti-sciiti non regge: il College era aperto a tutti. Quel luogo è un brulicare di spie prezzolate d’ogni tipologia e d’ogni dove. Come sappiamo, le risorse minerarie sono enormi e non ancora sfruttate. Come sappiamo Multinazionali straniere sono presenti per lo sfruttamento. Che ci sia stata una rivendicazione lascia il tempo che trova. Peccato che sempre, proprio sempre, questi attentatori muoiano sempre proprio sempre prima che li si costringa ad una confessione. Chissà se hanno urlato: Allah-u- Akbar!  
Quel che è triste, molto più che triste, è che ancora una volta, come in un’emorragia del pianeta, siano state giovani vite innocenti ad essere spezzate.
Marika Guerrini

immagine: quotidiano.net

lunedì 10 ottobre 2016

"Sulla Siria i media internazionali calpestano la verità" parole di Joseph Tobji

... "ora, adesso come ieri, prima e forse poi, l'impulso che si ripete nel prendere la penna e segnare quel che continua ad accadere interessando tragicamente i mondi d'oriente e d'occidente, è tacere. Seguire le parole segnate da K. Kraus nel suo Gli ultimi giorni dell'umanità: Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia . Tacere.". E ancora:
"Alla Siria, dall'economia dell'universo, potrebbe essere stato affidato un gravoso, ma di grande utilità storico-evolutiva, compito: la rinascita dell'occidente. La Siria con il sacrificio di sé, il dolore della  sua gente, il dolore di migliaia e migliaia di sue anime bambine a cui  è stata strappata l'infanzia oltre che la loro storia, questo tutto così incredibilmente evidente, così manifesto al mondo, per motivi e movimenti che sfuggono all'umana misera ragione, potrebbe riordinare la storia. Il sacrificio della Siria potrebbe essere quell'illusione, quel qualcosa che accade nell'animo umano ad arrestare il corso dell'occidente nella discesa agli inferi. 
Stralci di una pagina di occiriente, una di queste pagine, parole tracciate il 7 febbraio di questo stesso 2016.  
Avremmo potuto fermarci prima, dovuto, non l'abbiamo fatto. 
Pagine e pagine abbiamo scritto sulla Siria, abbiamo scritto anche, come ora, d'aver scritto, lì avevamo un amico un tempo, le sue telefonate all'alba, chi ci segue lo sa, sa che Youssuf era il suo nome, ora non è più. Ma le pagine dell'alba, quelle da lui "dettate" sulla sua Siria, ci sono, ci saranno e continueranno ad essere finché la Siria sarà liberata dall'infamia di questa guerra. Stavolta però lasciamo ad altri la parola, una parola di sei giorni fa, parola pronunciata in sede del Senato d'Italia, alla III Commissione Esteri, pronunciata dall'Arcivescovo cristiano maronita di Aleppo. Parola segnalata ma non abbastanza. Lasciamo la parola ad una voce umana, veritiera, pulita, che giunge dalla guerra, non una guerra, la guerra. Chi non l'abbia già ascoltata o chi l'abbia, clicchi sul sito segnalato di seguito, si liberi da qualsivoglia pregiudizio o idea o quel che sia di qualsivoglia natura e ascolti quel che già sa, quel che  il mondo continua a fingere di non sapere, come il Ministro Gentiloni che condanna la Russia e al-Assad, ovvero la risposta, mentre collabora con chi  ha procurato l'attacco, chi quest'inferno ha deciso, scatenato e mantiene in vita.

Arcivescovo di Aleppo: "Sulla Siria i media internazionali calpestano la verità". PandoraTV

E' quel che accade quando la politica si sottomette alla teocrazia finanziaria, la menzogna si fa padrona, l'umanità viene sacrificata al profitto. I suoi frutti si fanno amari.
Marika Guerrini
immagine:web


mercoledì 5 ottobre 2016

Afghānistān: Bruxelles parole vuote e criminali

Kunduz: la Valle
…giorno 4, giorno 5 di quest’ottobre del 2016, ieri, oggi, i due giorni di Bruxelles come quelli di Londra di due anni fa, come quelli di Tokio di quattro anni fa, come tutti gli incontri d’occidente e d’oriente in cui ci si riunisce per “parlare “ di Afghānistān. Parlare vuote parole, dall’astratto significato, ancor più astratta realizzazione, parole pericolose, anche.
Vetrina, questa di Bruxelles, fortemente desiderata da Ashraf Ghani, indegno Presidente di quella Terra. Ma Ghani come tutti gli indegni, è furbo, con lui, in qualità di Ministro degli Esteri, Salah’Uddin Rabbani, figlio di quel Rabbani, Buran’Uddin, che fu Presidente della Repubblica Islamica d’Afghānistān (1992-2001), Presidente legittimo, eletto per legittime elezioni, di quel Governo legittimo di cui A.S.Massoud fu Ministro della Difesa. Quel Governo legittimo che l’occidente non solo ignorò ma scavalcò invitando al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, 2001, i Taliban, il falso Governo dei Taliban, anche se, per salvare la faccia, finse di negare loro la legittimità, anche perché nel frattempo il neo Presidente G.W.Bush formava la squadra del proprio Governo con la Condoleezza Rice, ex dirigente Chevron-Texaco e la Gale Norton rappresentante della Delta-Oil e della BP-Amoco, dopo di che avrebbe sovvenzionato i Taliban con svariati milioni di dollari al fine, ufficiale, di “riconvertire”, tramite i contadini locali, i campi coltivati ad oppio, mentre commissionavano ordinazioni e facevano acquisto, attori: Usa-Europa. Uniche cose ad essere, in verità, “riconvertite” fu la direzione delle bombe statunitensi che mai avrebbero colpito, né allora né poi, i campi di oppio, e lo stesso oppio trasformato in eroina, con la fabbricazione di una raffineria proprio in quel di Kandāhār, lì, sotto l’occhio vigile prima british poi Usa. 
Ma il Ghani di facciata, ieri, oggi, si fa accompagnare dal figlio dell’unico Presidente aghano legittimo, perché eletto senza trucco prima della frantumazione del Paese, non come  Hamid Karzai dal marchio americano o, appunto, idem, Ghani. Eppure, l’asino casca, perché con Ghani, a Bruxelles, ci sono anche due tra i peggiori sanguinari afghani, non perché Signori della Guerra, perché traditori: Galbuddin Hekmatiar e Rashid Dostum. Ma l’ignoranza permette la menzogna, e il sonno anche e l’Occidente continua a scegliere entrambi. E a Bruxelles le parole saranno, sono, vuote e criminali. Vuote perché  il piano di riforme, presentato discusso: economico, servizi pubblici, diritti delle donne, riduzione del traffico di oppio e derivati, lotta alla corruzione, alla speculazione in ogni ramo sociale, compresa sanità, istruzione eccetera eccetera, non potrà mai e poi mai essere realizzato finché non si “pulisca” il Paese dallo straniero e si "converta" la società tutta attraverso un lento cammino di conoscenza e modernizzazione, cammino che Re Aman’Ullah (Regno 1919-’29) aveva intrapreso e realizzato, per poi trovarsi in esilio per rivolte interne fomentate dall’allora Impero Britannico, confinante in India. Cammino che può iniziare a muoversi solo ed esclusivamente all’interno del paese stesso, non con stranieri o sotto la guida o la minaccia di afghani venduti, legittimati da dollari ed euro.
Parole criminali perché, con l’ipocrisia propria al contemporaneo occidente, Europa in questo caso, prima ancora che prendesse avvio questa buffonata bruxelliana sul Paese, l’UE si era già accordata, domenica 04 c.m., sul rimpatrio dei migranti afghani previo denaro allo Stato afghano. I trenta denari.
Così sono stati venduti i migranti afghani. 
Cosa importa se laggiù la guerra sta subendo un progressivo peggioramento. Cosa importa se il Paese è più che mai insicuro. Cosa importa se si fa un passo e non sai se ci sarà il secondo. Cosa importa se molti di loro non hanno più casa lavoro vita civile parenti, né possibilità di…, nulla. Sì, certo, c’è un’eccezione in quest’Accordo, riguarda i minori non accompagnati o orfani, forse sì forse no, bisognerà informarsi sulle condizioni locali, sì, certo, chi scrive ne ha viste tante di Organizzazioni Umanitarie, arricchitesi con il denaro stanziato per: Assistenza e Accoglienza ai Minori, laggiù.
L’accordo di Bruxelles dal nome: Joint way forward on migration issues between Afghānistān end EU, vale a dire: Prossimi passi congiunti, tra Afghānistān e UE, sulla migrazione, validità quattro anni, contempla gli stessi impegni presi a Londra nel 2012. Ovvero tutto come prima com’è ora come sarà domani. La fobia dei migranti è riuscita anche a stilare una carta di condanna, a morte, non certa ma probabile, per quei migranti che verranno rimpatriati in una patria che non c’è più.
Nulla cambia, in Afghānistān va tenuta invariata l’attuale condizione: è potere di controllo, innanzi tutto, potere esercitato dalle nove basi Nato presenti, potere che, oltre alla posizione strategica geopolitica, vuol dire continuare lo sfruttamento di suolo e sottosuolo, da cui denaro denaro denaro, il che rende opportuno il denaro stanziato a Bruxelles anche per le riforme di cui sopra, denaro stanziato inutilmente rispetto agli obiettivi dichiarati, denaro che entrerà nelle solite tasche, che siano corrotti locali o stranieri, a qualsiasi livello e coprenti qualsiasi ruolo istituzionale e non.
Tutto questo Bruxelles, sinonimo di ipocrita Europa, lo sa. L’Afghānistān va tenuto in ginocchio, sì è fatta parola d’ordine quest’espressione, ma l’Afghānistān non ha più ginocchia su cui poggiare.
Marika Guerrini

domenica 25 settembre 2016

Mediterraneo in "tempesta"

.. potere, congiura, menzogna, guerra, Mediterraneo. Il pensiero shakespeariano  ancora una volta articola le parole. Così ne "La tempesta", la voce di Ariel, spirito amico e messaggero del mago Prospero, Duca, questi, di Milano, usurpato ed esiliato da una congiura ordita dal fratello Antonio, e la voce dello stesso Prospero, artefice per via di magia della terribile tempesta di vendetta ma pur del seguente placarsi dei flutti, sacrificio-rinuncia delle proprie arti-armi magiche, da cui lo stabilirsi della pace,   evidenziano momenti storici e moti dell'animo, evocativi di questi nostri tempi. Qui, tre passi della commedia, opera penultima del grande drammaturgo. in cui tutti hanno emblematico motivo d'essere, persino ubriachi della ciurma come Stefano. Ascoltiamo.

Atto II - scena prima

" Ariel (canta):                                        

Mentre dormi a notte scura 
Sagacissima congiura 
Coglie l'animo furtivo.  
Se ti è caro l'esser vivo, 
Scaccia il sonno, i panni afferra: 
Guerra, guerra! ...

Atto V - scena prima

Prospero:     
E voi, o elfi delle colline, dei ruscelli, degli immobili laghi, dei boschi, e voi che sulle                          sabbie con passi senza orme cacciate indietro la marea di Nettuno, e le sfuggite quando                  rifluisce; voi mezzi burattini che al lume di luna formate quei piccoli cerchi di erba  amara che le pecore non brucano; e voi che tanto vi divertite a far crescere i funghi a mezzanotte, che provate piacere all'udire il suono grave del coprifuoco... è stato mediante l'aiuto vostro - per quanto deboli voi siate, se soltanto da voi si debba dipendere - ch'io ho   velato il sole di  mezzodì, ho comandato ai venti ammutinati, ho provocato una strepitosa guerra tra il verde del mare e l'azzurro del cielo, al tuono rumoreggiante ho dato il fuoco perché incutesse spavento, ho spaccato la forte quercia di Giove con il fulmine di lui medesimo, il promontorio ho scosso fin dalla sua base salda,  e dalle loro radici ho divelto
e il pino e il cedro.  Al mio comando anche i sepolcri hanno destato coloro che dentro vi            dormivano e si sono aperti e li hanno lasciati andar liberi:  tant'era potente la mia arte.   Ma  questa mia primitiva arte, ecco io abiuro, e dopo che le avrò chiesto una qualche musica celeste - come quella che ora invoco -  al fine di conseguire quel ch'io m'intendo sui loro sensi,  per i quali è inteso questo incantesimo fatto d'aria, spezzerò la mia bacchetta, la seppellirò alquante tese sotto terra, e getterò in mare il mio libro così che scenda molto più in fondo di quanto mai sia sceso uno scandaglio....                                                   
                      

Atto III - scena seconda

Stefano (canta):                                                   

Scherza e deridi
Deridi e scherza
Il pensiero è libero..." 

Ora lasciamo Shakespeare alla sua immortalità. Che ognuno interpreti, comprenda o non comprenda. Altro non va detto.

Marika Guerrini
 immagine wekipedia

domenica 11 settembre 2016

New York- Kabul a quindici anni dal 2001


Memorial Plaza
Una via di Kabul oggi
... sarà impressione, frutto di eccessiva osservazione, sarà, ma, in questo settembre del 2016, in quest'11, a quindici anni di distanza dall'11 artefice di cambiamento della storia sul pianeta, le commemorazioni della fatidica data, negli Stati Uniti si sono moltiplicate ancor più, intensificate ancor più, rispetto ai trascorsi anni. Tutto si muove da per tutto a ricordare già da due giorni, dai luoghi deputati alle conferenze di prassi, alle strade ritmate da corse di beneficenza. Da New York a Washington passando per la campagna di Shanksville, per Annapolis, per Shirlington, attraversando l'intera Pennsylvania, calpestando la Valley Forge, entrando al Memorial Plaza, lì, nel cuore del World Trade Center, dove il suono assordante, suggestivo dell'acqua, nel  Ground Zero evoca vita e morte. Tutto da per tutto. Così mentre al National Building Museum, gli scatti di Josè Vergara immortalano gli attimi più tragici della tragedia, migliaia di volontari appartenenti ad oltre 50 associazioni no profit , ripuliscono strade, parchi, rifocillano bisognosi, eh sì che non sono affatto assenti tra le pieghe della civiltà newyorkese. In contemporanea funzioni religiose si rincorrono anch'esse a ricordare il divino che si fa retorica nel suo spronare alla bontà, alla pace nel mondo, in memoria di chi allora perse la vita. E la maggior parte di questi eventi hanno il loro tempo di realizzazione scandito su ore e minuti dell'attentato del 2001. Tutto fino al crepuscolo, alle ore 18, fino  al tribute in light sul Memorial Plaza, momento in cui due fasci di luce azzurra illumineranno il cielo di New York
Ma la cosa più toccante sarà la campana della Speranza, il suo rintocco, la campana della Saint Paul Chapel, rifugio, quel tragico mattino, per il personale del World Trade Center. La campana suonerà alle 8.46 , ora in cui nell'11 settembre di allora, si schiantò sulla Torre Nord il primo aereo. Campana dell'ultima dea. Ma a Kabul Speranza ha smesso d'essere l'ultima dea. A Kabul Speranza è morta.
A Kabul, luogo fattosi emblema d'ogni attuale guerra, d'ogni distruzione, povertà, emigrazione, malattia, menomazione, e ancora e ancora, la vita s'è fermata quell'11 di settembre, a suo seguito, con la speranza. A suo seguito dopo quindici anni un paese, più paesi, continuano a morire con la  loro gente, la loro storia, con la speranza.
Sempre a suo seguito agenzie del Pentagono aiutano signori della droga ad uccidere la speranza in tutto il mondo. A suo seguito sul Mediterraneo, navi americane, aiutano gli scafisti trafficanti di uomini ad uccidere la speranza. A suo seguito, a Kabul, fisica o figurata che sia, centinaia di piccole e grandi imprese governative e private, giunte dalla terra delle commemorazioni di oggi, di ieri, affamano popoli sotto etichette di facciata del tipo US Special Operation Commands, e la corruzione dilaga, e la voce "aiuto umanitario" inganna persino gli stessi americani, quelli in buona fede, e alcuni europei inganna, quelli in buona fede, mentre gli "aiuti" con i loro milioni e milioni di dollari favoriscono corrotti, aziende inesistenti, frodi, non certo la speranza.
Taliban, Daesh, Usa, Nato, Alleanza, questi sono i nomi che a Kabul uccidono la speranza, questi a questo punto, e allora il moltiplicarsi delle commemorazioni in quest'11 di settembre del 2016 negli Stati Uniti d'America. E questo punto ora osserveremo, lo faremo posizionando lo sguardo in una visione dall'alto, come nostro uso. Lo faremo in sintesi. 
La guerra in Afghanistan, ora, e da molto, si è fatta stallo per gli Usa, e poi c'è il BRICS da distruggere e tra i suoi componenti ci sono quelli da attaccare, quelli da comprare, quelli da ammaliare, o illudersi di farlo come per l'India, mentre il Pacifico attende e questa guerra afghana rischia di andare oltre lo stallo a farsi tomba per gli States. Ma è cosa che sappiamo, questa, da tempo. Osservando in quest'ottica si fa chiaro come, quanto, la presenza del Daesh abbia fatto gioco, come, quanto, con il motivo di combatterlo, si siano intensificati i bombardamenti Nato sul territorio afghano ridotto sempre più a spianata su cui depositare armi, continuare ad accumulare proventi. Osservando in quest'ottica si fa ovvia la risposta dei taliban, oramai in gran parte mujaheddin ovvero patrioti, ovvio il tentativo di riconquista, di liberazione dallo straniero, ovvio che spesso si traduca in suicidio per disparità di armamenti, checché il mondo racconti. Così, mentre le bombe piovono, gli attacchi terroristici si moltiplicano, mentre questi si moltiplicano i morti aumentano, e povertà  e malattie e disperazione e tutto incrementa la trail of tears dei giovani fuoriusciti, i così detti emigranti, che vanno a morire altrove, spesso, che sia in mare o nell'oceano, che sia in un terremoto o per i gas di scarico di un tir, che sia per tutto ciò che la cronaca riporta e quel che tace mentre il cerchio continua a coprire il suo corso. 
Tra i tanti ultimi elementi, uno vogliamo citare, uno semplice, banale: il QCG, Quadrilateral Coordination Group, è organismo internazionale creato  allo scopo di coinvolgere gli attori sulla scena afghana per una stabilizzazione del paese. In realtà è solo una sigla di apparenza. Se non fosse drammatico, sarebbe comico come questo organismo creato per trovare accordo tra le parti, voglia presenti al tavolo del negoziato Stati Uniti, Pakistan, Cina, Afghanistan e  assenti i taliban. Gli stessi taliban che Obama, in separata sede, vuole incontrare, incontro che i taliban rifiutano. Così noi, sempre guardando dall'alto ci chiediamo: per quale motivo i taliban dovrebbero accettare un incontro con Obama, prestarsi alla farsa nella farsa, a discutere del Daesh dal momento in cui il Daesh è penetrato nel paese con il beneplacito di Usa e Nato, perché agisse su quella che è diventata una guerra di liberazione nazionale portata avanti dai taliban-mujaheddin contro lo straniero e il Governo locale ad esso venduto? Perché? Non solo, ma i taliban sanno perfettamente che gli occupanti hanno voluto il Daesh nel paese perché apportasse un radicalismo insurrezionale, un jihadismo, sì da corrompere alcuni elementi radicali tra gli stessi taliban che avrebbero aderito. Non c'è motivo per cui i taliban dovrebbero sedersi al tavolo di un negoziato con i protagonisti della distruzione del paese, protagonisti che da anni, ancor prima dei quindici, combinano le cose sì da consolidare la propria presenza e protrarla nel tempo con schieramenti armati sul terreno. Ad oggi, tanto per avere idea, sono presenti 13.000 soldati delle forze d'Alleanza ( Stati Uniti, Germania, Turchia, Italia), altre 2.150 unità solo degli Usa che al di fuori dell'Alleanza sono presenti anche con una missione autonoma, ufficialmente contro il terrorismo, chiamata Freedom's Sentinel, e con 400 truppe di contractors, mercenari ed elementi dei servizi, collocati all'interno e all'esterno del paese, il dove non si sa, ma sempre sotto esclusivo comando americano.
Chi scrive si rende conto di quanto tutto questo sia assurdo agli occhi d'occidente e anche d'oriente dato l'indubbio terribile passato dei taliban, ma non va dimenticato che persino allora, prima dell'11 di quel settembre, quando i taliban, nel loro estremismo, nell'ignoranza formati all'uopo nelle madrasse  a spese degli Stati Uniti, dei Sauditi e complice il Pakistan, persino allora la questione droga era sotto controllo e lo straniero si voleva fuori. Come aveva già fatto il governo Rabbani-Massoud, negando il passaggio dell'oleogasdotto dal Caspio al Golfo Persico, vale a dire invasione straniera, agli States e ai Sauditi. Non va dimenticato che stava per nascere un accordo tra il governo legittimo Rabbani-Massoud e l'illegittimo dei taliban appoggiato e sovvenzionato dagli Usa, non va dimenticato che l'accordo fu impedito più di una volta dagli Usa, prima dell'ultima volta quando fu impedito con l'assassinio di A.S.Massoud. Non va dimenticato mentre si commemora, che la grande menzogna dell'11 settembre, è tale così come viene raccontata. Ancora. Non va dimenticato che quello fu il principio di una fine mai finita. Cosa che ogni anno ci tocca sottolineare, alla nausea.
Ora basta, non possiamo dilungarci più di così e sfociare in noia certa. Chi fosse interessato e volesse saperne di più può leggere quell'unico libro di storia pubblicato in Italia: "Afghanistan passato e presente", Jouvence 2014. Che poi l'autore sia lo stesso di questa pagina non ha importanza, non è pubblicità, né mettersi in mostra, né falsa modestia, ma  spregiudicatezza dettata dall'essere consapevoli di quanto, quel che si sta vivendo, sia ingarbugliato tanto che la matassa debba essere afferrata dall'inizio, da molto lontano, conoscere quel teatro nella storia per poter elaborare pensieri secondo verità, celate, queste, quasi sempre dietro l'apparire dei fatti. 
La retorica americana è potente, ben consolidata nel tempo, è quasi perfetta. E quasi perfetto è  il suo potere di suggestione. E quasi perfetta la capacità di toccare le più sottili corde dell'animo umano dando l'impressione di muoversi su di un pensiero superiore, volto al miglioramento dell'uomo e della società, in realtà pensiero avvinghiato alla materia camuffata da antimateria. Pensiero capovolto basato in esclusiva sulla menzogna di cui il popolo americano è vittima prima ancora di altri. E forse più.
Marika Guerrini
immagini dal web

martedì 23 agosto 2016

J'accuse moi-même: la perdita dell'umanità

- perché?-
... " Nel farsi del giorno il poeta chiuse la finestra, posò la penna. Tacque. S'adoprò in altro che fosse qualsiasi cosa. Mentre s'adoprava serbava custodito il silenzio in sé. Un infinito silenzio senza parole né immagini. Il poeta lo lasciò scorrere. Lo lasciò espandersi sin nella più piccola parte del suo essere. Lasciò che percorresse ogni spazio, ogni tempo. Lasciò che vivesse alla luce di una lanterna. Il silenzio mutò, vibrò. S'espanse la luce. Il poeta seppe ch'era giunto l momento. Aprì la finestra. Le immagini presero a scorrere, oltre essa a svolgersi. In suoni. In forme. Allora, solo allora, il poeta iniziò a tradurle in parole. Sul biancore del foglio. Perché la loro luce non si spegnesse. Non si lasciassero portar via...".
Questo l'incipit di un mio libro dedicato ad Ahmad Shah Massoud passato al mondo come "il leone del Panjshir" chiamato nel testo "il tulipano dell'Hindu Kush". Libro scritto in seguito all'attentato che avrebbe interrotto la sua vita il 9 settembre 2001 e a due giorni permesso la distruzione dell'Afghanistan.
Allora non sapevo, se pur intuivo, che altro sarebbe accaduto di terribile. Non sapevo, se pur immaginavo, che un'escalation di violenza senza eguali avrebbe colpito paesi e paesi, dando seguito agli effetti di quell'attentato dai più ignorato, quell'attentato lontano. Non sapevo, se pur conoscevo la matrice di quell'atto infame e infamante, i suoi motivi nascosti, la collusione dell'estremo occidente che da tempo aveva scelto la via della menzogna ed ora stava scegliendo di incamminarsi verso il tramonto trascinando seco l'antico continente europeo e non solo, collusione con quei sauditi partecipanti allo stesso, benché diverso, gioco di potere per il potere. 
Eppure, malgrado la facoltà immaginativa avesse da anni preso a scorrere in me quale conoscenza di fatti e quinte di fatti, se qualcuno avesse narrato quel che ora è il nostro sofferto pane quotidiano, se l'avesse, per predizione, mostrato in immagini viventi, non avrei creduto alle sue parole né ai miei occhi.
Nel libro di cui sopra, dopo l'incipit, la narrazione penetra un mondo che s'è fatto ricordo, mentre pagine di taccuino raccontano la sua bellezza e quella delle sue genti e in una pagina dice: ... "Lì, in quella terra, la storia affiorava sempre, tutta, anche negli sguardi dei bambini. Ad osservare non erano diversi dagli sguardi adulti, non per precoce vecchiezza, ma per antica allenata saggezza. I bambini incontravano gli adulti nella saggezza, gli adulti incontravano i bambini nell'entusiasmo... Afghanistan cuore dell'Asia, cuore di guerrieri e poeti insieme... ". Poi quel mondo aveva preso a saltare in aria con la sua storia, nella sua polvere. A saltare in aria con la sua gente. Adulti e bambini. Entusiasmo e saggezza. E tutti avevano preso a vivere, ancor più di prima, di guerra e di guerra e di guerra. E questo vivere di guerra si era espanso, si è espanso. E continua. E il saltare in aria per via di bombe al napalm, all'uranio e d'ogni altra sostanza s'è fatto norma, norma dichiarata e smentita. Norma di cui ci cibiamo da allora.
Così, affacciati alla finestra di questa nostra quotidianità continuiamo a vedere sgretolarsi la storia, che non è storia altrui ma dell'intera umanità, nostra storia, che poi si chiami Kabul, Aleppo, Sanaa, Palmira, Baghdad, Homs, Daraya, Mosul, Ramadi, Falluja, Leptis, Sabrata, non importa. Che si mostri in innumerevoli siti patrimonio Unesco o in reperti locali distrutti da false provocate "primavere arabe", non importa. E la mano d'azione nel distruggere, non importa. Ma l'idea a monte, sì. Il pensiero distruttivo, sì. La volontà distruttiva, sì. Il profitto che ne giunge, sì. Che sia economico nell'immediato o a lunga gittata, che sia dominio strategico sul pianeta o su una parte di esso. Le armi sono nostre. Che siano armi strumenti fisici o armi dell'anima, dei pensieri, dei sentimenti. Questo, sì, importa. 
Eppure continuiamo, affacciati alla finestra di questa nostra quotidianità, a vedere l'azione di queste armi tutte e, con esse tutte, bambini, sempre più bambini, saltare in aria. E nulla cambia se per suicidio o omicidio. Se autori o vittime. Nulla. I bambini suicidi sono già morti prima di morire, i bambini uccisi anche. E' l'infanzia che sta morendo. E alcuna azione è più grave di questa nell'economia della vita, più aberrante, più terrifica. E con essi sta morendo il futuro. E' questo che si vuole? E' la perdita dell'umanità, che si vuole? E' la totale aberrazione dell'anima, che si vuole? Lo sguardo non v'ha volto altrove o ad altri ma su noi stessi.
Marika Guerrini
scatto di Barat Alì Batoor- coll.privata-

domenica 24 luglio 2016

tragedie a due velocità- attentato agli Hazara a Kabul

...  ieri 23 luglio 2016, mentre immagini riportavano, in un ossessivo ripetersi lungo oltre ventiquattro ore, la tragedia consumatasi a Monaco di Baviera con i suoi 10 morti, e spari seguivano accavallandosi a spari e volti a volti, e interrogativi a pseudo risposte accompagnate dalla retorica giornalistica, la maschera tragica del volto di Alì  Somboly, diciottenne autore della tragedia, evidenziava un altro dei tanti preoccupanti aspetti della nostra società, il "bullismo" giovanile, fenomeno da anni riportato dalle cronache, per lo più locali, e sottovalutato malgrado segnalazioni di esperti ne abbiano sottolineato, e sottolineino diffusione e pericolosità sociale, ma a questo dedicheremo altra pagina. Ora , tornando a ieri, mentre tutto questo indugiava su mezzi di comunicazione tradizionali e social network, contraddicendo le parole che suggerivano prudenza sul diffondere i contenuti della tragedia onde controllare eventuali future emulazioni, a Kabul un attentato feriva 231 persone e ne uccideva 81 oltre ovviamente agli attentatori. Suicidi diversi nei due casi, all'occidentale con colpo di pistola alla tempia,  quello di Alì Somboly, alla maniera orientale, di moda ai nostri giorni, con esplosione, a Kabul. Ma Kabul è lontana.
A Kabul è assente la possibilità di flash, di zoom, di interviste, di commenti, di analisi psicoanalitiche e psichiatriche. Su Kabul non ci si interroga, non lo si è mai fatto per davvero, è sempre stato tutto spiegato a priori, giustificato a priori. Per Kabul non ci si interroga sul fatto che ora oltre ai Taliban e ad Al-Qaeda, ormai in disuso, sia presente il Daesh che tra l'altro i Taliban combattono. Per Kabul non ci si chiede come sia stata e sia possibile, l'infiltrazione prima la presenza poi, del Daesh con tutto il dispiegamento Nato, con la massiccia presenza militare, italiani compresi, a "protezione" del paese. Non suscita alcuna curiosità come faccia il Daesh a procurarsi continuamente armi all'interno del paese e ad agire indisturbato mentre la Nato anziché bombardare le formazioni Daesh bombarda i Taliban che lo combattono. Alcuna curiosità per Kabul. Che tutto questo accada a Kabul, per il mondo è "normale". A Kabul si muore di "normale". E si muore ogni giorno da quel malefico ottobre del 2001. 
Ora, se a Kabul si muore di "normale" e il "normale" non fa notizia, per cui ogni fatto del genere viene solo accennato in passaggi tra una notizia e l'altra, figuriamoci se possa fare notizia il fatto nel fatto, ovvero che ad essere colpita è stata la comunità Hazara, per cui quella di ieri, consumata nel quartiere Dehmazang, è stata non solo una strage da attentato "normale", ma probabile azione di pulizia etnica, azione di genocidio. Che poi sia stata guidata, consentita, probabilmente voluta, questo non si sa, comunque è stata comoda. Ma veniamo al motivo immediato.
I dimostranti, tra cui anche dei parlamentari, chiedevano al presidente Ashraf Ghani e al premier Abdullah Abdullah, di rivedere il "Tutap", progetto di elettrificazione. La linea "Tutap" avrebbe dovuto collegare, attraverso l'Hindu Kush, Turkmenistan, Uzbekistan, e Tajikistan all'Afghanistan e al Pakistan, passando per la provincia di Bamiyan. Sì, sempre la Bamiyan dei Buddha giganti distrutti, non solo, ma anche cuore del paese e cuore storico, nonché attuale, dell'etnia Hazara. All'ultimo momento, in barba alle promesse fatte e allo stesso tracciato del progetto, la rotta è stata cambiata: alcun passaggio nella provincia di Bamiyan. Motivo: economico, la linea attraverserà anziché Bamiyan, il colle del Salang, così facendo i lavori saranno velocizzati e milioni di dollari risparmiati. Che poi migliaia e migliaia di persone, quasi tutti di etnia Hazara, continuino a trovarsi in una assoluta  carenza di elettricità, quindi disagi su disagi nel XXI secolo, questo non interessa a quanto pare nessuno, men che mai i governanti. 
Ma i governanti ora presenti in Afghanistan sono venduti al maggior acquirente, non di certo governano il paese per il bene del paese, lasciatelo dire a chi di storia afghana se ne intende. Si torna così alla volontà, e al permesso accordato a questa volontà, di annientare il paese, ridurlo completamente a terra di nessuno, quindi di tutti, e poiché l'etnia Hazara, da anni sottoposta a discriminazione vessatoria, è quella che, malgrado enormi difficoltà, ha visto di recente alcuni suoi esponenti formulare pensieri di libertà e progresso anche fuori dal paese, ecco che, con il pretesto dello Sciismo, essendo gli Hazara sciiti di contro a governanti, Taliban, Al-Qaeda e Daesh,  sunniti, il "normale" a Kabul ieri è stato usato ad hoc, secondo il proverbio "due piccioni con una fava".
Il fatto è che Kabul sembra lontana ma non lo è. Kabul rientra perfettamente nel quadro delle tragedie che stanno invadendo e insanguinando l'occidente. In principio era Kabul, sarebbe da dire parafrasando il sacro se non si rischiasse d'essere blasfemi. Kabul non è lontana.  Kabul vuol dire Russia, vuol dire Cina, vuol dire India. Lo ripetiamo da anni. Un Afghanistan raso al suolo anche nella volontà di libertà, vuol dire, come in un domino, contribuire alla possibilità di una Terza Guerra Mondiale, che, malgrado alcuni affermino il contrario, ancora non è in atto benché i prodromi ci siano tutti. 
A questo va aggiunto che molte giovani menti libere e strategicamente preparate per natura, istinto, propria storia, a Kabul, e fuori dal paese, menti che potrebbero contribuire alla libertà afghana,  si trovano tra i giovani hazara, come volevasi dimostrare. Kabul è la cartina di tornasole dell'inizio, strategicamente la più importante per via dell'area di cui sopra, reale motivo per cui ogni anno viene confermata  e prolungata la presenza Nato, tutti gli altri motivi addotti essendo dei falsi. Non va dimenticato.
Marika Guerrini

foto Barat Alì Batoor. coll, privata-

venerdì 22 luglio 2016

Mohammad il lupo solitario

... il lupo, quando si isola, è per cantare alla luna la propria nostalgia, così narra la leggenda, e narra del forte legame che unisce il lupo all'astro notturno, all'argentea luce. Ed è l'argento il metallo che in antico rappresentava le forze lunari del lupo, così come l'oro le solari del leone. Si chiama licopodium la pianta che nel vegetale corrisponde all'argento, ed è di licopodium che il lupo si nutre quando, nelle notti di luna piena, ulula alla luna la propria nostalgia. Ed è dolore il suo canto, dolore per l'astro di cui porta impronta nell'anima e nel corpo, di cui porta il ricordo. Se assunto in una qualche forma dall'essere umano, il licopodium produce gli stessi effetti medicamentosi che sul lupo, agendo sull'anima, per forza attrattiva della simpatia, s'espande al corpo e l'anima si cheta. 
Ben altro senso si dà oggi all'espressione "lupo solitario", ha sapore di sangue, di morte, né si tiene conto della sua anima. "Lupo solitario" definisce oggi quell'assassino che, svincolato dal comando centrale, nel caso Daesh, agisce per suo conto, per sua iniziativa, in luoghi disparati e lontani dal centro di comando. Ma è questa una definizione a cui chi scrive non crede, non con il significato che gli si dà. Quel che crede è l'opposto, crede che azioni disparate, indipendenti, lontane, siano isolati sfoghi di patologie provocate in esseri fragili, frantumati dalla vita, esseri disperati le cui azioni vengono strumentalizzate da chi vuole spargere terrore, creare caos, sì da indebolire sempre più gli esseri umani, quindi le società, quindi i paesi, quindi i continenti, vedi Europa, al fine di tenere in pugno il potere sotto ogni forma, sociale, politica, economica. Possedere il dominio.
Ma non è questo che interessa la pagina di oggi, anche perché a breve tutto si svelerà da sé, basta avere pazienza, non prestare ascolto alla paura, attendere, come nell'aneddoto  orientale spesso citato, il passaggio del cadavere nemico sul fiume sotto i nostri occhi. Quel che interessa questa pagina è l'analogia che lega il "lupo solitario" umano al lupo solitario animale, e la storia di Mohammad Riad, ma avrebbe potuto chiamarsi Hossain, Mehsud, Mohammadi o in qualsiasi altro modo, con la sua tristezza, si fa emblema di una smisurata incontenibile sofferenza che i soli diciassette anni di vita non hanno potuto controllare, elaborare, guidare.
Per Mohammad Riad, l'incontenibile dolore per l'amico ucciso nel suo lontano Afghanistan, per mano straniera, dell'invasore armato, è andato a sommarsi alle decine e decine di dolori ormai strartificati in lui. E lo strato di dolore s'è fatto violenza, e arnesi da lavoro, da taglio si sono fatti strumenti di rabbia, di vendetta. Si sono fatti armi. Sarebbe stato possibile disarmare Mohammad se gli agenti delle forze speciali, presenti in loco e addestrati anche al disarmo, non avessero fatto parlare la paura nella deflagrazione delle loro armi da fuoco, armi a distanza che non abbisognano del coraggio del corpo a corpo. Così è andata se vogliamo pensare liberi da pregiudizi e comode congetture che ci cuciamo addosso voltando lo sguardo altrove.
Aveva due anni Mohammad Riad quando gente simile per "civiltà" alla gente della terra che ha ospitato gli ultimi due anni della sua vita, ha preso a bombardare l'Aghanistan giustificandosi dietro una colossale menzogna. Quante morti ha visto Mohammad moltiplicarsi da allora. Morti d'ogni tipo, d'ogni fattezza, morti per esplosioni ad ogni ora del giorno e della notte, della notte ancor più, nel sonno, perché questo è d'uso, morti per violenze sessuali consumate da esseri maleodoranti di alcool, morti per bombe a grappolo sotto gialli involucri da cibo, morti per eroina distribuita gratis, morti a volte per scommessa, soltanto, come in una giostra da tiro al bersaglio. Quanti corpi deformi ha visto Mohammad nella sua breve vita, bambini ancor, più per via della data di nascita post 2001, bambini monchi di gambe, di braccia, di ogni parte del corpo, monchi per effetto di armi all'uranio arricchito, armi atomiche usate sulla sua gente. Ma questo lo sappiamo. Quante morti, quanti dolori, quanta paura. Così è cresciuto Mohammad per poi essere allontanato da chi gli voleva bene, perché avesse una vita migliore, quel futuro che in patria era, è, negato. 
Quante morti ancora, quante paure, quante sofferenze ha incontrato Mohammad lungo la via per la "civiltà", la stessa "civiltà" che con la propria distruttiva presenza nella sua terra, lo aveva costretto a fuggire, abbandonare la luna per poi averne nostalgia. Una lacerante nostalgia così come l'incontenibile dolore.  
"Vi combatterò fin quando il sangue mi scorrerà nelle vene", che sia vero o falso, il video con il suo volto e queste parole, non ha alcuna importanza, quel che importa è la solitudine di migliaia di Mohammad dalla mente sconvolta per incontenibile dolore. Migliaia di ex bambini violati in ogni senso e modo dalla nostra Civiltà. Sparsi ora solitari per il mondo. Lupi pregni di nostalgia di quel che fu e non potrà più essere.
Marika Guerrini

foto originale: Barat Alì Batoor, (coll. personale)

sabato 16 luglio 2016

Turchia: il golpe della speranza

Mustafa Kemal Atatürk 
... sono le armi che s'affacciano alla mente alla parole: golpe, lo fanno sempre e a ragion veduta, ma ci sono armi ed armi, le armi turche protagoniste, anche e non solo, del golpe che per poche ore ha attraversato il cielo di Istanbul come una cometa, sono state armi per la libertà. Paradosso ma reale. Il Colpo di Stato era all'insegna dei diritti civili e il ripristino di una democrazia che viene cantata ma non esiste nella realtà. Dietro l'iniziale, imprescindibile in questi casi, istituzione della corte marziale e del coprifuoco, Il Colpo di Stato era sorto per la restaurazione dell'ordine costituzionale ampiamente negato da Erdoğan, così come negata la libertà di stampa, previo incarcerazione, ogni tipo di diritto umano e libertà contrari al potere, perché di potere quasi assolutista si tratta. Dietro al Colpo di Stato c'erano i valori di libertà e progresso dati da colui che ancora è ritenuto il padre della patria, Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938), padre di quella Turchia moderna che l'ignoranza e l'ambizione di Erdoğan, tra menzogna, ortodossia, e servilismo doppiogiochista, stanno distruggendo. Il Colpo di Stato, dietro le inevitabili armi del caso, avrebbe mantenuto tutte le relazioni con tutti i Paesi e tutti gli accordi internazionali. A questo avrebbe portato la sua riuscita. Ma proprio questo il punto: il mondo, quello che "conta" , quello in cui menzogna e ipocrisia la fanno da padroni,  non vuole un paese che agisca secondo indipendenza e libertà, lo vuole servo e sotto ricatto. Bene. Ancora una volta hanno vinto i padroni. E' il gioco perverso che stiamo giocando. Il gioco  utile ad aizzare sempre più la guerra civile in Europa, perché questo è, a destabilizzare l'Europa sempre più, e i flussi migratori sono eloquenti, invasione studiata a tavolino in ogni dettaglio a provocare avversione, razzismo, utile ad attaccare la nostra economia, quella artigianale ancor più, la portante, a seguito delle sanzioni alla Russia, utile al realizzarsi di tragici episodi di "terrore" che continueranno ad insanguinare le nostre strade, utile alle spese militari a cui la Nato chiama perché si continui a tenere in guerra paesi, vedi Afghanistan, servendosi di noi servi orfani di uno Stato Sovrano, che si prona dinanzi all'Alleanza Atlantica e obbedisce, per interessi internazionali che nulla hanno a che vedere con libertà e democrazia e neppure con i singoli interessi di progresso, ma con il loro contrario. Di questo si nutre la belva, di servi e delle loro azioni servili. Le nostre. 
Allora si tiene in vita un governo come l'attuale turco, dopo che si sono provocate terribili "primavere arabe" per molto meno, cosa, anch'essa che ora, fingendo si rinnega, vedi parole di Obama. Si tiene a capo di un paese estremamente strategico, un Recep Tayyip Erdoğan che da sempre arma il Daesh, che massacra i kurdi che combattono il Daesh, che nega la libertà di stampa come abbiamo detto, che abbatte aerei per poi scusarsi, per paura, vigliaccheria, chissà. Che sta portando il paese alla retrocessione di costume e valori fingendo il contrario. Che soffre di manie di grandezza ottomana senza possederne capacità e intelligenza, malgrado ci fossero estremi. Che sta facendo costruire un terzo aeroporto a nord di Istanbul, quasi parallelo al Bosforo, funzionale ad aprire un canale dal Mar di Marmara al Mar Nero, onde evitare il transito nel Bosforo regolarizzato dalla Convenzione di Montreux (1938) che limita a 24/48 ore la sosta nel Mar Nero per navi non appartenenti ai paesi costieri. Il nuovo canale pare si dovrebbe chiamare " Canale Erdoğan" e permettere alle navi statunitensi di sostare a piacimento nelle acque del Mar Nero, ovviamente per la stabilità internazionale. E tutto continua, ma fino a quando? 
Eppure per breve tempo, ieri, nell'oscurità dettata dai tragici fatti di Nizza, malgrado  i carri armati dell'esercito turco, e proprio per questa presenza, abbiamo ritenuto possibile, paradossalmente, il realizzarsi di un'idea di libertà, libertà non solo per la Turchia come Atatürk volle, scintilla di libertà per l'Europa, libertà da chi vuole affossarla e ci sta riuscendo. Ieri questi bagliori si sono intravisti all'orizzonte nel cielo notturno di Istanbul. 
Quei "golpisti" erano, speriamo siano, del "Consiglio di pace in patria" questa la definizione, vale a dire fedeli ai principi innovatori e progressisti di AtatürkErdoğan ha sempre attaccato e osteggiato questa parte dell'esercito per questi motivi.
Ora, ad ora, ci si ritrova con 754 militari in manette, tra cui 29 colonnelli e 5 generali sollevati dall'incarico, ci si ritrova a contare altri morti, pare 42 ad Ankara e 16 "golpisti" non si è capito dove, ci si ritrova con l'ipocrisia Obama-Merkel, davvero immonda, ci si ritroverà con il libero aumento delle navi Nato nel Mediterraneo, non già in aiuto o a regolarizzare il flusso dei poveri migranti, ma ad aiutare gli scafisti assassini e il governo turco continuerà il suo doppio gioco. Immondo anch'esso come sopra. 
E si riaffaccia la domanda: fino a quando tutto questo potrà continuare? E un golpe si fa speranza. Paradossalmente.
Marika Guerrini