sabato 16 gennaio 2016

Istanbul: qualcosa non quadra


Sultanahmet- il quartiere in veduta aerea- 
...a quattro giorni dallo scorso tragico martedì di Istanbul, come previsto, i fatti non coincidono con le parole, le parole non coincidono con i nostri pensieri che vanno oltre il voluto, il pronunciato, l'annunciato, l'insinuante. E poiché ci piace che il lettore sia consapevole di quanto accade, in una passeggiata immaginata in piazza Sultanhmet, nel quartiere dallo stesso nome, dove si trova dal XVII secolo la Sultanahmet Camii, meglio conosciuta come Moschea Blu, da cui il nome di entrambi, incontreremo alcuni tra i più significativi monumenti che quel luogo ospita con le loro origini e il ruolo storico nonché rappresentativo di varie culture, chissà, forse così si potrà dar senso alla sensazione che, immediata, ci si è presentata alla notizia dell'attentato suicida omicida di martedì 12 c.m.: qualcosa non quadra. Quindi ora incamminiamoci per quel museo a cielo aperto che è piazza Sultanhmet ad incontrare parte anche della nostra storia.
Obelisco di Teodosio, un monolite di 25 metri in porfido rosso, antica opera egizia con incise in geroglifico egizio le vittorie del faraone Thutmete III (1504-1450 a.C.) fatta trasportare nell'allora Costantinopoli, 390 d.C., dall'imperatore Teodosio I.  
Obelisco di Costantino Porfirogenito, probabile IV secolo d.C., con i suoi 32 metri di altezza, in blocchi di calcare, sulla cui base porta ancora un'iscrizione che richiama il cristiano Costantino.
Colonna Serpentina, ora 5,5 metri, in origine 8 metri, uno dei monumenti più antichi di Istanbul e più significativi, il tronco, colonna spiroidale avvolta da tre serpenti avvinghiati, ricorda le vittorie di Salamina e Platea sui Persiani, conferite dalla confederazione delle 32 città greche nel 479 d.C., offerta al tempio di Apolllo a Delfi, poi fatta trasportare dove ora è, da Costantino I.
Colonna di Costantino o Bruciata, che Costantino I fece potare dal Tempio di Apollo in Roma, si era tra il 306 e il 337 d.C. Un tempo alta 57 metri ora circa 35. Leggende su leggende, la vogliono custode di numerose reliquie, dai resti di sette pani benedetti da Cristo allo scettro magico di Mosè a una statua lignea di Atena fatta venire da Troia ed altre. Credenze vere e false ad unire cristianesimo, religioni idolatre e fede ebraica.
Ayasofia
Ayasofia, meglio conosciuta come Basilica di Santa Sofia, la cui costruzione, tra il 325 e il 361, iniziata da Costantino il Grande fu terminata dal figlio di lui Costantino. In tutto il tempo bizantino conosciuta come  "Megalo Ekklesia" la Grande Chiesa, perché più grande del palazzo imperiale, troneggia con i suoi splendidi mosaici bizantini custoditi quasi intatti per ben oltre 1000 anni anche dalla successiva fede islamica.
Cisterna Sotterranea nei pressi di Ayasofia, costruita sempre al tempo di Costantino I, e restaurata da Giustiniano, lunga circa 150 metri e larga 70, con le sue 336 colonne.
Chiesa dei Santi Sergio e Bacco dalla pianta quadrilatera, fatta costruire da Giustiniano tra il  527 e il 536 d.C., la cui splendida cupola poggia su un ottagono circondato da 8 pilastri ottagonali anch'essi.
Aya Irini, Chiesa di Sant'Irene, una delle prime opere cristiane di Istanbul, quella che Giustiniano fece ricostruire dopo che fu bruciata nella rivolta di Nike. L'Aya Irini si trova nel cortile del Palazzo di Topkapi, e noi che fino ad ora ci siamo beati della bellezza di alcuni dei monumenti non islamici di piazza Sultanahmet, incontriamo ora alcuni monumenti del periodo islamico. 
Palazzo di Topkapi, lo splendido complesso, ora museo, voluto dal sultano Mehmet il Conquistatore, la cui costruzione, su di un vecchio serraglio, iniziata tra il 1472-'78 fu terminata nel XIX secolo. Luogo di immensa ricchezza e bellezza per i tesori che custodisce di cui quelli del periodo islamico, per lo più ottomano, sono solo una parte.
E poi la Fontana del Sultano Ahmet III ubicata davanti al Topkapi e risalente al XVIII secolo, e i Bagni della Gran Sultana che si trova tra Ayasofia e la Sultanahmet Camii,   costruita nel XVI secolo, e ancora il Museo dei Mosaici, con le tessere bianche del Grande Palazzo e reperti risalenti al IV-V secolo d.C., ubicato tra le botteghe annesse alla Sultanahmet Camii, e ancora e ancora fino ad arrivare appunto alla Sultanahmet Camii, o Moschea Blu, con i suoi sei minareti, le sue bellissime maioliche da cui l'aggettivo, il porticato, i pilastri, le cupole, la fontana esagonale, i suoi marmi bianchi. Voluta da Ahmet I, la Moschea fu costruita tra il 1609 e il 1616, luogo che fino al XIX secolo fu punto di incontro e partenza delle carovane dei pellegrini diretti alla volta della Mecca. 
Sultanahmet Camii
E lì, proprio a due passi da tutto questo, per di più ad un soffio dall'Obelisco di Teodosio, l'attentatore di quattro giorni fa si è fatto esplodere, così, con tanti obiettivi consoni al tipo di follia che avrebbe dovuto spingerlo al gesto contro di essi, dato il suo credo estremo e gli obiettivi "infedeli", si fa saltare in aria colpendo solo se stesso e persone straniere, che poi le dieci vittime siano state tedesche, è relativo perché lì, sempre a due passi, vi è una Guest House frequentata per lo più da ospiti tedeschi da che è stata aperta, e sempre lì a due passi, vi è lo stazionamento dei pullman turistici e non, nonché il passaggio del tram che dalla zona marittima porta e attraversa la collinetta di Sultanahmet. Questo per avere un sommario quadro del traffico di passanti locali e non. 
Ma, tornando all'attentatore, una ben strana fedeltà alla fede, per noi presunta, islamica la sua che non colpisce alcun punto di rilievo simbolico ma soltanto delle persone, per quanto straniere fossero. Un attentatore, tra l'altro, passato inosservato ad ogni controllo pur se in zona di confine con un paese in guerra, la Siria, passato estraneo ad ogni lista di sospetti  benché avesse un fratello fattosi saltare in aria in Siria, appunto, in un aeroporto, qualche mese fa, contro le forze governative di  Bashar al-Assad. Ma si sa, la polizia di questi tempi è spesso distratta, specie se si trova in zone ad alto rischio, dev'essere una patologia contagiosa, una sorta di ebola.
Lì, a Sultanahmet, bastava che facesse qualche passo e l'Obelisco di Teodosio sarebbe saltato in aria con giubilo dei suoi compagni, presunti, e in nome di..., vedi i fatti di Palmira ed oltre, o che si fosse portato accanto a qualsiasi altro monumento incontrato nella nostra passeggiata, cristiano o greco o egizio che fosse, ed ecco che avrebbe preso due piccioni con una fava, per dirla in gergo, ma no, lui si è fatto saltare tra i turisti tedeschi e, dicunt, a caso, evidentemente aveva fretta, perché che si volesse colpire la Germania proprio non crediamo.
Davanti a tutto questo il doppiogiochista Recep Tayyip Erdoğan che, per essere poco democratico, sta per essere  ripudiato, o sarebbe meglio dire incastrato, anche se non è espressione elegante, dai suoi stessi alleati, e che per via di ambizione ed arroganza è caduto nella trappola della filosofia yanchee dell'usa e getta, lui, Erdoğan, dopo aver comunicato e liquidato in breve che l'attentatore, con uno sfacciato nome arabo, Nail Fadli, fosse siriano, passa ad altro e addiziona la tensione nel paese, perseverando nella sua mania ossessiva e persecutoria dei curdi, facendo arrestare quasi 20 tra accademici e intellettuali accusati d'aver firmato una petizione che diceva e dice:" Noi non saremo complici dei vostri crimini". Petizione in vero firmata da 2000 persone per porre fine alla politica discriminatoria contro la minoranza curda e  chi la rappresenta. Il presidente Erdoğan, infatti, non si limita alla persecuzione interna, accusando, arrestando, uccidendo, lasciando interi villaggi senza cibo, acqua, assistenza medica, spesso usando anche l'allarme terroristico per fare razzia, ma va a bombardarli anche in Siria e in Iraq con i raid che partono da Ankara con la missione ufficiale di bombardare il Daesh, e invece bombardano i curdi, tanto che fino ad ora sono circa 3000 i curdi uccisi in patria e fuori. In realtà in questo quadro nulla quadra, anche il fatto che siano stati fermati, perché sospetti, dei cittadini russi, è così banalmente logico secondo l'ottica turca governativa da essere stupido, ma forse confondono russi con ceceni, chissà.
Cos'è stato l'attentato di Istanbul, un fatto dimostrativo di cosa, forse la Turchia vuol dimostrare di essere nel mirino del Daesh quindi estranea a collusioni con esso, forse un modo di accusare la Russia dopo l'episodio del Suhkoi e l'esplicito avvertimento di Putin a non tentare attacchi anche di tipo verbale pena immediata risposta, o forse è una manovra di coinvolgimento europeo sempre a prova di estraneità con la rete terroristica, dato che gli Usa iniziano a mollare il paese, o, o, o, ma a dire il vero non ci interessa granché, anche perché troviamo che questi siano  episodi, purtroppo tragici ma anche atti a distogliere l'attenzione dalla Siria, fulcro di tutte queste vicende belliche destabilizzanti l'Eurasia. 
Siamo a circa un mese da che, 18 dicembre 2015, un testo di quattro pagine stilato al Palace Hotel di New York, che aveva visto 17 nazioni al lavoro, diceva: " una tregua scatterà non appena i rappresentanti del governo siriano e dell'opposizione abbiano avviato passi iniziali verso una transizione politica sotto l'auspicio dell'Onu" e ancora: "Il popolo siriano deciderà il futuro della Siria", è stato tralasciato: se la scelta coinciderà con i dettami di Onu e Washington, anche perché  nelle Presidenziali del giugno 2014 il popolo aveva scelto, ma la scelta aveva riconfermato al-Assad, cosa davvero disdicevole per Onu e Washington.
Tra meno di dieci giorni, dovrebbe avvenire l'incontro Onu per firmare l'accordo di pace sulla Siria, che porrebbe fine o quasi o comunque allenterebbe il tutto, ma non crediamo possa avvenire, qualcosa accadrà a deviare, a far slittare, ostacolare, impedire, di sinonimi ve ne sono tanti così come le vie del signore, in questo caso delle tenebre, sono infinite. Nel frattempo Obama, sdegnato dai fatti di Istanbul, continua, nella sua mania ossessiva, ad ognuno la propria, a chiedere le dimissioni di al-Assad, la Siria continua ad essere distrutta con la sua gente, mentre è la Siria che va salvata, anche se è quel che resta, per zittire i rombi di guerra da oriente ad occidente passando per l'Africa, sì che la sua gente, i suoi profughi possano tornare in patria perché è quel che vogliono, tutto il resto è uso di opportuna conveniente tragica parvenza. Compreso il recente fatto di Istanbul.
Marika Guerrini

martedì 5 gennaio 2016

Téhéran: una lancia spezzata per

Shah Reza Pahlavi, la Shahbanou Farah
e
 due dei loro figli
... l'Iran ha molti aspetti, molte immagini, ed ogni aspetto, ogni immagine non coincide con l'altro, non si sposa, è sempre stato così. Il nostro primo incontro, mio con quella terra, avvenne al tempo dello Shah Reza Pahlavi, al tempo della mia vita a Mashhad. Stimavo quell'uomo, stimavo quel sovrano. Shah Mohammad Reza Pahlavi avrebbe portato l'Iran a potenza egemonica degna dell'antica Persia, non solo regionale, ma internazionale. E questo non si voleva e non lo si volle, i modi furono tanti, tanti gli strumenti, tutti basati sul tradimento. 
A Mashhad, ebbi modo di vivere la grandezza verso cui si era avviato il paese, seguire le continue riforme proposte dallo Shah, anch'esse tante e veloci nell'applicazione così che non tutti erano in grado di comprenderle, adeguarvisi, applicarle, quindi spesso incontravano l'opposizione dei conservatori, quasi sempre religiosi, ma poi riuscivano a passare comunque, a smantellare il passato, essere applicate, la gente aveva desiderio di modernità. Si è quindi mentito in occidente poi, durante e dopo, nel dichiarare che le masse studentesche aspiravano ad una modernità che non veniva loro concessa, così come si è ingigantita la corruzione del governo, cosa che rispetto alla nostra era quasi nulla. L'attenzione del sovrano era essenzialmente incentrata sulla formazione e la cultura, ad iniziare dall'alfabetizzazione, partendo dalle zone rurali del paese,  all'istruzione di tipo superiore accessibile a tutti senza discriminazione di genere o sociale. Le borse di studio elargite agli studenti meritevoli delle scuole primarie e superiori piovevano continuamente così come quelle universitarie indirizzate a prestigiosi atenei d'Europa e degli Stati Uniti, scelti per facoltà di studio in base alla scelta d'indirizzo di studi dello studente, così che i giovani iraniani meritevoli, si trasferissero presso le varie facoltà estere per una formazione all'avanguardia, cosa che avrebbe gettato le basi per una futura classe dirigente colta e al passo con i tempi, in grado di guidare il paese verso uno stabile futuro di benessere e civiltà. Paese oltretutto ricchissimo di risorse naturali.
" L'ignoranza uccide i popoli"  soleva spesso dire Shah Reza e, sua moglie, la Shahbanou Farah, dava lo stesso senso alle visite nelle scuole, negli ospedali pediatrici e non, persino tra i contadini o tra le varie etnie del grande paese. Era un lavoro capillare il loro, un lavoro di trasformazione che richiede tempo, ma che stava funzionando, avrebbe funzionato, già in molti aspetti funzionava. Sì, l'Iran si stava preparando a divenire potenza in ogni campo, dal tecnologico allo scientifico d'ogni ramo, nucleare incluso e così via. Era troppo. Tutto questo era troppo. Troppo  per molti, ancor più per chi calcolava di allargare controllo e potere economico, allora incentrato essenzialmente sull'oro nero ma non solo. Bisognava fare qualcosa e fu fatto.
I sauditi, ancor più dopo l'accordo di Suez del 1945 stipulato tra Roosevelt e il re saudita Ibn' Saud, con cui si firmava la protezione nordamericana per i sauditi in cambio di petrolio e  forti incassi per gli Usa, con l'acquisto massiccio di armi americane da parte araba, sarebbero stati ampiamente e negativamente coinvolti dal consolidarsi dell'Iran quale potenza regionale e internazionale, dal canto loro gli Stati Uniti idem. In più c'era ancora l'Urss, la guerra fredda eccetera eccetera. Così mentre lo Shah Reza trattava con gli Usa e li riteneva amici, gli Usa e i sauditi si organizzavano: andava fatto tutto per controllare la regione e di conseguenza una larga fetta del pianeta Europa compresa, perché certi tipi di calcoli hanno sempre una lunga gittata, e le pedine si muovono con largo, largo anticipo. erano già da oltre tre anni che nelle università iraniane si facevano circolare volantini che sobillavano per la fine del regno e la morte dello Shah. Erano sotto gli occhi di tutti gli studenti. E vi erano riunioni segrete e manifestazioni e queste venivano sedate e il sedare incendiava ancor più i giovani animi vittime e strumenti di una storia che dall'esterno s'avviava a compiersi. In questo modo la storia futura nella regione prese a delinearsi.
La mattina di quel 16 gennaio 1979 era nevicato, un vento gelido sferzava su Téhéran quando l'aereo si involò verso l'Egitto, verso Assuan. A bordo lo Shah Reza Pahlavi, la Shahbanou Farah e pochi intimi. La notizia mi era giunta quasi immediata e mi si era stretto il cuore. La versione ufficiale dichiarava momentaneo l'allontanamento sì che la rivoluzione, che da alcuni mesi incendiava le strade di Téhéran, si placasse, ma lui sapeva che quella serebbe stata l'ultima volta nella sua terra. E quella terra strinse in un pugno: si chinò prima di salire sulla scaletta dell'aereo, raccolse un pugno di sabbia e se lo mise in tasca. Era tutto quello che gli sarebbe rimasto della sua terra.  
 Nessun paese volle accogliere lo Shah, tutti gli voltarono le spalle, ad iniziare dagli Stati Uniti, solo l'Egitto accolse quel sovrano tradito: " Siate sicuro che questo paese è il vostro, che noi siamo vostri fratelli e il vostro popolo", furono queste le parole del presidente egiziano Sadat quando, con la sua famiglia, lo accolse all'aeroporto. Ma Sadat da lì a un anno e mezzo sarebbe stato ucciso in un attentato. Anche lui era figura scomoda.
Poi la scalata della fine: Khomeini aiutato nella sua ascesa al potere: "Non avevamo previsto che un vecchio di 78 anni potesse mettere insieme così tante forze e trasformarle in una rivoluzione nazionale" parole firma dell'allora direttore della Cia Stanfield Turner all'allora presidente Jimmy Carter, e poi l'occupazione sovietica dell'Afghanistan: "... abbiamo l'occasione di dare ai sovietici il loro Vietnam", parole dell'allora Consigliere per la Sicurezza Nazionale Robert Gates sempre al presidente J. Carter, e poi lo sgretolarsi dell'Urss e il Muro di Berlino e poi e poi fino alle Twin Towers, al terrorismo che inizia a mostrarsi ma era pronto da tempo, e poi l'Iraq e le false Primavere Arabe e la Libia e la Siria e i migranti e l'Europa che s'indebolisce e la Cina che cresce e il terrorismo sempre più efferato che cambia nome, aspetto, ma è sempre la stessa matrice, sempre alimentato da sempre da armi americane e soldi sauditi con complicità europea, con mercenari europei, inglesi molti, francesi molti, e  la formazione di tutti questi individui assoldati... da un Credo, no, no e poi no, no così come no alla storiella dei Sunniti e degli Sciiti. Qui non si nega la storia né l'antica lotta tra Sunniti e Sciiti, non si negano le fondamenta storiche, ma ora, e l'esperienza in altri paese insegna, questa storia s'è fatta Cavallo di Troia poggiato su antiche diatribe che sono state all'uopo fomentate per servirsene nella regione e all'estero, vedi Londra, Parigi, ma anche Quetta e poi...e poi... e poi...  tutto quel che sappiamo, che è cronaca, che è oggi.
L'uccisione di Nimr Bahr Nimr, proprio perché iniqua persino secondo i canoni sauditi, altro non è, come si sta dicendo in molti, che una provocazione, è palese, provocazione non solo all'iran e agli States, ma a largo raggio, vedi prezzo petrolio, vedi proposta fine sanzioni all'iran, vedi accordo nucleare, vedi posizione Onu, vedi posizione Russia, vedi Africa, vedi Siria, vedi Iraq... un calderone in cui c'è anche il timore dei beduini sauditi, d'essere messi in dispensa dagli Usa per  l'approdo che questi ultimi stanno costruendo sui lidi del Pacifico.  Ma in tutto questo, e non a caso siamo partiti dal tempo di Shah Reza Pahlavi facendo una cronistoria sintetizzata, malgrado l'attuale chiusura delle rispettive ambasciate, malgrado la sospensione dei voli Riad- Téhéran, malgrado gli episodi di rivolta iraniani, la provocazione non verrà raccolta dall'Iran fino a farla sfociare in una guerra, e se così dovesse apparire non essere, sarebbe per una macchinazione o tradimento interno che chi scrive non ritiene possibile, anche per le esasperate misure di sicurezza vigenti in Iran. 
Allo stesso tempo l'Arabia Saudita e suoi accoliti, in realtà non vogliono un'ulteriore guerra nel Golfo, l'Iran è molto forte anche militarmente e la Russia sarebbe al suo fianco e degli americani non c'è da fidarsi, loro vanno col vento e nella regione sono sulla china da molto tempo, malgrado i recenti colpi di coda con manifestazioni di forza, ma non è così, quindi i sauditi potrebbero trovarsi soli, e lo sanno. 
L'Iran può tacere, attendere la fine delle sanzioni, attendere e osservare, sono molto bravi in questo, hanno una politica estremamente diplomatica ed intelligente e sono allenati nell'applicarla. Dal canto personale credo sia chiaro quanto non abbia mai accettato l'ascesa al potere degli Ayatollah, e, dirò di più, per anni ho sperato nella possibilità del ritorno di Reza figlio in Iran, per accorgermi poi che era una fiaba che alcuni di noi si raccontavano, ma questo nulla toglie al riconoscere le caratteristiche di cui sopra. Non credo che scoppi una guerra tra sauditi e accoliti con l'Iran malgrado i Pasdaran con i loro missili, probabilmente stiano fremendo e gli Hezbollah sarebbero pronti ad unirsi, ma non credo, anche perché l'enorme errore fatto in passato di cui molti ora si sono resi conto, anche se altrettanti non lo ammetterebbero mai o quasi mai, ha fatto storia per loro e continua a farla. 
Ma questa è comunque un'opinione, o come spesso dico, può essere desiderio di uno scrittore che si è fatto prendere la mano non solo dall'analisi ma anche dal ricordo, null'altro.
Marika Guerrini
foto da: Farah Pahlavi, Mémoires, Parigi 2003